La domanda di insinuazione al passivo alla luce del DPCM 13 novembre 2014
Nell’arco degli ultimi 40 giorni si è lungamente discusso
delle innovazioni portate dal “Decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri 13 novembre 2014” (normativa tecnica
attuativa dell’art. 71 del Codice dell’Amministrazione Digitale – Decreto
Legislativo 07/03/2005, n. 82) al processo civile telematico e, più in
generale, a tutti quegli ambiti di cui solitamente si occupano gli studiosi di
informatica giuridica.
Uno degli aspetti rimasti però nell’ombra rispetto alle
numerose analisi fatte dagli esperti del settore è quello del rapporto fra il
suddetto DPCM e la domanda di insinuazione al passivo del fallimento.
Come sappiamo molti
Colleghi si sono occupati di analizzare nello specifico il contenuto del testo
normativo in esame e, in particolare, il Centro Studi
Processo Telematico (di cui anche lo scrivente fa
parte) ha prodotto una serie di articoli scientifici proprio su questo tema,
arrivando a conclusioni parzialmente simili (si vedano gli articoli di Roberto
Arcella, Nicola
Gargano, Fabio
Salomone, Maurizio
Reale, Giuseppe Vitrani, Fabrizio
Testa e questo
mio precedente intervento).
Per parte dei Colleghi
del CSPT le nuove regole tecniche introdotte dal DPCM 13 novembre 2014 o non si
applicherebbero affatto al processo civile telematico in virtù
dell’incompatibilità con le norme del PCT o comunque in virtù della specialità
di quest’ultime rispetto al suddetto DPCM (in tal senso Arcella, Salomone,
Reale, Gargano), o si applicherebbero solo parzialmente (Vitrani, Testa ed il
sottoscritto).
In particolare (pur
ritenendo che – in assenza di uno specifico intervento normativo – si debba
prudenzialmente continuare ad applicare le nuove regole tecniche al PCT) segnalo
la ricostruzione assolutamente puntuale e analitica fatta dal Collega Maurizio
Reale in tema di rapporto di specialità fra le
norme oggetto. Analisi che giunge alla conclusione dell’inapplicabilità delle
norma del recente DPCM al processo civile telematico in virtù della specialità
delle disposizioni dettate in materia di PCT rispetto a quelle del Codice
dell’Amministrazione Digitale.
Il caso della domanda
di insinuazione al passivo del fallimento è però decisamente diverso e del
tutto peculiare poiché, se per il PCT l’interprete ha dovuto fare i conti con i
l’applicabilità dei concetti di “documento informatico”, “copia digitale”, etc…
(così come definiti dal CAD e dalla normativa tecnica qui in esame) al processo
civile telematico, nell’ambito fallimentare l’applicabilità del CAD e del
conseguente DPCM è assolutamente indubbia.
A richiamare
espressamente il Decreto Legislativo 07/03/2005, n. 82, infatti, è proprio
l’art. 93 comma II del Regio Decreto 267/1942: “Il ricorso può essere sottoscritto anche personalmente dalla parte ed
è formato ai sensi degli articoli 21, comma 2, ovvero 22, comma 3, del decreto
legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni e, nel termine
stabilito dal primo comma, è trasmesso all'indirizzo di posta elettronica
certificata del curatore indicato nell'avviso di cui all'articolo 92,
unitamente ai documenti di cui al successivo sesto comma. L'originale del
titolo di credito allegato al ricorso è depositato presso la cancelleria del
tribunale. “
Il Regio Decreto, così
come modificato dal D.L. 179/2012, indica quindi due diverse – ed alternative –
modalità di formazione della domanda di insinuazione al passivo del fallimento:
1)
Quella prevista
dall’art. 21 comma II del CAD (documento informativo sottoscritto con firma
digitale)
2)
Quella prevista
dall’art. 22 III del CAD (copie informatiche di documenti analogici)
Per quanto mi consta,
sino ad oggi, i curatori fallimentari hanno preteso che il ricorso contenente
la domanda di insinuazione al passivo del fallimento fosse redatto come
documento informatico sottoscritto con firma digitale (caso di cui al
precedente punto 1) oppure come scannerizzazione del ricorso redatto con le
classiche modalità analogiche (caso di cui al punto 2).
Inutile sottolineare
come la seconda delle due modalità appena descritta sia risultata da subito la
più utilizzata, ciò in virtù della facilità ed immediatezza di realizzazione.
Come detto, però, la
Legge Fallimentare richiama, per tale seconda modalità di redazione del
ricorso, espressamente l’art. 22 comma terzo del CAD, il quale stabilisce che “Le copie per immagine su supporto
informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel
rispetto delle regole tecniche di cui all'articolo 71 hanno la stessa efficacia probatoria degli originali
da cui sono tratte se la loro conformità all'originale non è espressamente
disconosciuta.”
Da ciò si evince con
chiarezza che, al caso di specie, non potrà che applicarsi l’art. 71 del CAD e
quindi – come evidenziato all’inizio di questo articolo – il DPCM attuativo
proprio di quell’articolo 71.
Il suddetto Decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri, all’art. 4 comma II, stabilisce che “Fermo
restando quanto previsto dall'art. 22, comma 3, del Codice, la copia per
immagine di uno o più documenti analogici può essere sottoscritta con firma
digitale o firma elettronica qualificata da chi effettua la copia.”
Tornando quindi alla nostra analisi, rispetto alla prassi invalsa prima
dell’entrata in vigore del DPCM 13 novembre 2014 (il decreto ha acquisito piena
efficacia a partire dallo scorso 11 febbraio 2015), il legale che voglia far
riferimento al caso di cui al punto 2) del presente articolo per la formazione
del proprio ricorso per ammissione al passivo del fallimento, dovrà prima
scannerizzare la domanda formata integralmente in cartaceo (sia come redazione
che come sottoscrizione) e poi apporre la propria firma digitale prima di
trasmettere il file al Curatore fallimentare via PEC.
Il cambiamento non appare certamente epocale e, in fin dei conti,
l’apposizione della sottoscrizione digitale alla scansione del documento
potrebbe non comportare particolari problematiche al ricorrente, deve però
essere posta all’attenzione del lettore l’eventualità di cui all’ultimo periodo
del sopra citato art. 22 comma terzo del CAD, ossia, la disconoscibilità del
documento così formato all’originale dal quale è stato estratto.
Pur essendo quella del disconoscimento un’eventualità remota non è però
da escludersi aprioristicamente soprattutto in virtù della negativa prassi
invalsa in moltissimi Tribunali di non accettare il deposito prescritto
dall’ultimo periodo del secondo comma dell’art. 93 Legge Fallimentare, ossia,
del deposito dell’originale del titolo e del ricorso in cancelleria.
Qualora, invece, il legale volesse formare la propria domanda di
insinuazione con le modalità di cui al caso 1) della presente analisi dovrebbe
procedere alla redazione di un documento informatico nativo firmato
digitalmente, ciò – però – nel rispetto delle famose regole tecniche di cui
all’art. 71 CAD (l’art. 21 comma II richiama, infatti, l’art. 20 del CAD, il
quale – a sua volta – richiama espressamente il suddetto art. 71) e quindi in
ossequio al disposto di cui all’art. 3
del dpcm 13/11/2014:
“1. Il documento informatico è formato mediante una
delle seguenti principali modalità
a)
redazione tramite l’utilizzo di appositi strumenti software;
b)
acquisizione di un documento informatico per via telematica o su supporto informatico,
acquisizione della copia per immagine su supporto informatico di un
documento analogico, acquisizione della copia informatica di un
documento analogico;
c)
registrazione informatica delle informazioni risultanti da transazioni o
processi informatici o dalla presentazione telematica di dati attraverso moduli
o formulari resi disponibili all’utente;
d)
generazione o raggruppamento anche in via automatica di un insieme di dati
o registrazioni, provenienti da una o più basi dati,
anche appartenenti a più soggetti
interoperanti, secondo una struttura logica predeterminata e
memorizzata in forma statica.
Il
documento informatico assume la caratteristica di
immodificabilita’ se formato in modo che forma e contenuto non siano
alterabili durante le fasi di tenuta e accesso e ne sia garantita la
staticita’ nella fase di conservazione.
Il documento informatico,
identificato in modo univoco e persistente, e’ memorizzato in un sistema di
gestione informatica dei documenti o di conservazione la cui tenuta puo’ anche
essere delegata a terzi.
Nel
caso di documento informatico formato ai sensi del comma 1, lettera a), le
caratteristiche di immodificabilita’ e di integrita’ sono determinate da
una o piu’ delle seguenti operazioni:
a)
la sottoscrizione con firma digitale ovvero con firma
elettronica qualificata;
b)
l’apposizione di una validazione temporale;
c)
il trasferimento a soggetti terzi con posta elettronica certificata
con ricevuta completa;
d)
la memorizzazione su sistemi di gestione documentale che adottino idonee
politiche di sicurezza;
e)
il versamento ad un sistema di conservazione.
Nel
caso di documento informatico formato ai sensi del comma 1, lettera b), le
caratteristiche di immodificabilita’ e di integrita’ sono determinate
dall’operazione di memorizzazione in un sistema di gestione informatica
dei documenti che garantisca l’inalterabilità del documento o in un
sistema di conservazione.
Nel
caso di documento informatico formato ai sensi del comma 1, lettere c)
e d), le caratteristiche di
immodificabilità e di integrita’ sono
determinate dall’operazione di
registrazione dell’esito della medesima operazione e
dall’applicazione di misure per la protezione dell’integrità
delle basi di dati e per la
produzione e conservazione dei log di
sistema, ovvero con la produzione di una estrazione
statica dei dati e il trasferimento della stessa
nel sistema di conservazione.
Laddove
non sia presente, al
documento informatico immodificabile è associato un
riferimento temporale.
L’evidenza
informatica corrispondente al documento informatico immodificabile è prodotta
in uno dei formati contenuti nell’allegato 2 del presente decreto in modo da
assicurar l’indipendenza dalle piattaforme tecnologiche, l’interoperabilità tra
sistemi informatici e la durata nel tempo dei dati in termini di
accesso e di leggibilità. Formati diversi possono essere scelti nei
casi in cui la natura del documento informatico lo richieda per
un utilizzo specifico nel suo contesto tipico.
Al
documento informatico immodificabile vengono associati i metadati che sono
stati generati durante la sua formazione. L’insieme minimo dei metadati, come
definiti nell’allegato 5 al presente decreto, è costituito da:
a)
l’identificativo univoco e persistente;
b)
il riferimento temporale di cui al comma 7;
c)
l’oggetto;
d)
il soggetto che ha formato il documento;
e)
l’eventuale destinatario;
f)
l’impronta del documento informatico.
Eventuali
ulteriori metadati sono definiti in funzione del contesto e delle necessita’
gestionali e conservative”.
Nel nostro caso, quindi, non dovremo far altro che redigere la nostra
domanda attraverso un classico redattore di testi (word, open office, etc…) e
poi – al fine di garantire l’immodificabilità e l’integrità del documento così
come richiesto dal sopra citato art. 3 comma 4 lettera a) dpcm – apporre la
nostra firma digitale.
Il documento così formato dovrà essere poi trasmesso – unitamente alla scannerizazione
dell’eventuale procura e di tutti i documenti probatori necessari
all’accoglimento della domanda – al curatore fallimentare attraverso la PEC
(ulteriore elemento – quest’ultimo – che garantirà quella immodificabilità ed
integrità del documento testé citata).
Se quindi, da un lato, tale metodologia di formazione della domanda di
insinuazione al passivo del fallimento potrebbe sembrare particolarmente
agevole, dall’altro deve fare i contri con l’ultimo comma dell’articolo sopra
citato, ossia, l’inserimento dei c.d. “metadati”.
I metadati non sono altro che dati elettronici contenuti all’interno
del file e che, sostanzialmente, funzionano in modo non dissimile dai dati di
catalogazione bibliografica poiché, dato un campo standard (es. “autore”),
forniscono al sistema un’informazione immediatamente individuabile.
Tanto per rimanere su esempi di realtà comune, sono metadati anche
quelli interpretati dai lettori mp3 che, appunto, riescono a ricavare dal file
riprodotto, il nome dell’artista, il titolo del brano e quello dell’album.
Normalmente i metadati sono accessibili sotto Windows utilizzando il
menù contestuale che appare cliccando il file con il tasto destro del mouse e
poi selezionando “proprietà”.
Accedendo all’area “dettagli” potremo agevolmente analizzare i metadati
del file (vedi figura)
Tali dati, almeno per i file di testo, possono
essere inseriti direttamente dal software di elaborazione testi.
Il problema principale – oltre alla non agevole “digeribilità” di
questi famigerati metadati – è soprattutto, però, l’insieme minimo dei metadati
da inserire in documenti di questo tipo, così come richiesto dall’ultima parte
dell’ultimo comma dell’articolo in commento, ossia:
a) l’identificativo univoco e persistente;
b) il riferimento temporale di cui al comma 7;
c) l’oggetto;
d) il soggetto che ha formato il documento;
e) l’eventuale destinatario;
f) l’impronta del documento informatico.
I metadati di cui alle lettere c), d) non creano alcun problema, poiché
inseribili – come appena detto – già attraverso il programma di redazione
testi.
Quelli di cui alla lettera e) sono in realtà meramente eventuali mentre quelli di cui alla lettera f), pur essendo oramai entrati nell’immaginario comune anche
dell’Avvocato mediamente telematico, sono di difficile inserimento all'interno del documento poiché la modifica dello stesso in un momento successivo al calcolo dell'impronta comporterebbe il variare proprio dell'impronta appena calcolata.
Gli elementi di cui alle lettere a) e b) sono, poi, probabilmente i più
problematici.
Il riferimento temporale di cui alla lettera b) – a mio avviso –
potrebbe ritenersi meramente eventuale, ossia, da inserirsi unicamente quando
le caratteristiche di immodificabilità e di integrità del documento siano date
dalla validazione temporale di cui all’art. 3 comma 4 lettera b) dpcm, mentre
per l’identificativo unico e persistente di cui alla lettera a) dovremo
riferirci alla normativa in materia di conservazione sostitutiva dei documenti
informatici a cui – però – gli Avvocati sono tenuti unicamente nel caso di
emissione di fattura elettronica.
Probabilmente, quindi, si potrebbe sostenere la non necessarietà – nel
caso di specie – dell’inserimento sia dei metadati di cui alla lettera a) che
di quelli di cui alle lettere b) ed f).
Segnalo, sul punto, che il Collega Roberto Arcella ha autorevolmente
sostenuto in un suo recente articolo che la norma in commento – almeno per la sezione relativa ai metadati – si
rivolgerebbe unicamente ai soggetti titolari di un obbligo di conservazione
secondo le regole del dpcm 3/12/2013, obbligo che – come detto – per gli
Avvocati riguarda (per il momento) unicamente l’ambito della fatturazione
elettronica.
Concludendo, la nostra originaria ipotesi sub 2), e
quindi la redazione di un documento di testo firmato digitalmente, appare
decisamente la più aderente al dettato normativo attuale, nonché decisamente
meno rischiosa in virtù della remota – ma comunque possibile – eventualità di
disconoscimento fra il documento e l’originale cartaceo dal quale è estratto in
virtù della nostra ipotesi sub 1).
Per quanto riguarda le problematiche portate dalla
normativa in commento in ordine ai metadati, invece, si può ragionevolmente
concludere che, aderendo alla tesi del Collega Arcella, tali elementi possano
tranquillamente.
In ogni caso, anche l'ipotesi sub 1) non è da scartare a priori posto che, in caso di disconoscimento, basterà predisporre il deposito del documento originale analogico.
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